Oggi, presento una grande poetessa, nata a Roma e che ci ha lasciato quasi novantenne nel 2019. Si tratta di Gabriella Quattrocchi, conosciuta come Gabriella Leto. Una donna che ha dedicato la sua vita all’insegnamento, allo studio, alla scrittura, alle traduzioni dei classici e alla poesia, di cui ha lasciato testimonianza in varie eccellenti pubblicazioni.
Qui, un suo sonetto.
L’ ora dell’ombra ormai quasi discesa /
come trasforma le cose lo vedi /
poi che sprofondano i consueti arredi /
nella stanza da lei già in parte presa/
e luce non c’è più quasi ma illesa/
è la finestra presso cui ti siedi/
l’alta finestra dalla quale accedi/
alla malinconia propria – sottesa/
del giardino concluso da tre lati/
dove l’ultimo livido chiarore/
splende al di là dei vetri quadrettati/
fino a che il giorno perde il suo valore/
e dei momenti suoi tutti passati/
la memoria nebbiosa avvolge il cuore./
da “Aria alle stanze” – Einaudi 2003
Ho scelto di proporre all’ attenzione delle lettrici e dei lettori di Sabina Magazine questo bel sonetto della Leto che può chiaramente dimostrare il suo amore per il linguaggio poetico e per alcuni dei suoi variegati canoni precipui. Sebbene la Leto abbia scritto tante e suggestive composizioni in versi liberi, in questo testo, si rifà al linguaggio della poesia
pre-moderna.
Con la sua sapienza e cura della metrica preziosa, scrive, in endecasillabi, due strofe di quattro versi e due strofe di tre versi, in rima alternata, (un sonetto, appunto). Ci racconta, quindi, in maniera così elegantemente sonora e ritmica, il finire del giorno “che perde il suo valore” e anche ciò che ella sente, le sue suggestioni. Giochi di ombre e di luce scantonano dal quotidiano, dalle cose, dagli spazi. La poetessa ci regala la sua pacata osservazione e le sue azioni che sembrano ripetute, solite. Gesti usuali, come usuali sono le attese e le riflessioni: ora, nel vagare per le stanze, ora seduta alla finestra, per poco tempo ancora illuminata, finestra che dà sul giardino. Un giardino che le appare come soffuso di malinconia. Malinconia e memorie avvolgono anche lei, in quel momento magico di ultima livida luce.
Un tutt’uno tra lei e ciò che gli occhi le offrono al di là dei vetri quadrettati. Ed ecco i ricordi, la memoria ricorrente, seppur “nebbiosa”, che ha perso nitidezza e che diventa esigenza o speranza di celata realtà o forse dimenticata realtà. Memorie velate, ma al tempo stesso purificatrici. Poi, però, e nei versi questo è tangibile , tutto ritornerà nel ciclo vivido della prossima alba, della rinascita, della nuova luce. Infine, come ulteriore bagliore poetico che mi giunge attraverso le misurate e sobrie parole di Gabriella Leto: il sentimento dell’accettazione, e non di rassegnazione, per quei momenti, quegli attimi di silenzio, che preannunciano la sera e la riportano indietro tra i ricordi velati del passato.
Gabriella Leto ha esordito nel 1975 sull’«Almanacco dello Specchio» Mondadori. Nel 1980, è stata inserita nell’ antologia einaudiana Nuovi poeti italiani I. Dieci anni dopo, con Einaudi, il suo primo libro: Nostalgia dell’acqua (Premio Viareggio 1991), poi con la stessa casa editrice, nel 1997, L’ ora insonne. Nel 2003 ha pubblicato, sempre per Einaudi, Aria alle stanze.
Gabriella Leto è stata anche traduttrice di opere di poeti latini, come le
Elegie di Properzio (1970),
Le Eroidi (1966) e
Gli Amori (1995) di Ovidio.