Finalmente qualcosa si muove sotto il cielo della Sabina reatina. Sono trascorsi 25 anni da quando il Parlamento italiano approvò la legge per il riordino degli Enti Locali. Una legge sostanzialmente ben fatta, ma che una classe politica nazionale arraffona e scriteriata non ha mai voluto applicare per la paura di perdere le posizioni di potere locale da ciascuno raggiunte.
Si parlava allora di istituire le Aree Metropolitane e di accorpare i comuni più piccoli in entità territoriali più grandi. Mondo Sabino prese subito la palla a sbalzo ed indisse un convegno a Passo Corese per spiegare ai cento comuni della Sabina reatina e romana la portata di quella legge.
Vennero in molti, e tutti a caldo si dichiararono disposti ad un riordino del Lazio limitando l’Area metropolitana di Roma ai confini comunali della capitale, lasciando alle altre 4 provincie del Lazio il territorio dei comuni della provincia di Roma.
Questo avrebbe consentito alla provincia di Rieti di allargare il suo territorio fino a Settebagni raggiungendo i duecentomila abitanti previsti da quella legge per il mantenimento dell’Ente Provincia. ( Chi vuole saperne di più su questa ipotesi legga il capitolo intitolato “La provincia Sabina” del libro “Almanacco di fine millennio” reperibile sul sito www.mondosabino.it nella edizione integrale).
Ma l’entusiasmo iniziale fu subito freddato dai dirigenti romani dei vari partiti che presto convinsero i proconsoli locali a non farne niente. Loro preferivano allargare l’Area metroplitana di Roma a tutta la ex provincia di Roma, anzi fin più su, come sosteneva l’allora comunista Walter Tocci, vice sindaco di Roma, nativo di Cerdomare di Poggio Moiano.
Poi le cose sono finite nel nulla, come molte buone leggi del Parlamento italiano che sono rimaste sulla carta e il riordino degli enti locali, che era necessario fin da allora, è stato lasciato a marcire.
Dopo tanti anni è arrivato Monti, colui che per volere dell’ex comunista Napolitano doveva risolvere in un battibaleno i problemi degli italiani e che invece ci ha incasinato ancor di più rimangiandosi in pochi mesi la fama di grande commis di stato che si era guadagnata con molto lavoro.
Monti, anziché abolire tutte le provincie, come era giusto che fosse, ne eliminò solo alcune accorpandole alla cieca in tutta fretta pur di prendere una decisione, mal consigliato da coloro che gli stavano intorno con l’avallo del gran garante del Quirinale.
E per noi furono dolori. Secondo loro dovevamo diventare una dipendenza di Viterbo, ad un’ora e mezza di distanza. E così è stato cominciando piano piano una azione di spoglio di quelle poche cose che erano rimaste come prerogative della provincia, proseguendo in quella spoliazione che dura fin dagli anni sessanta del secolo scorso, da quando una scellerata politica nazionale ha provocato la fuga dai nostri territori della forza lavoro.
E che cosa hanno fatto in tutti questi anni i cosiddetti politici locali? Nell’immediato dopoguerra ci fu un periodo di buona politica di sviluppo dovuto alla salutare furbata di far inserire nella Cassa per il Mezzogiorno il territorio dell’ex regno delle due Sicilie che produsse la realizzazione del Nucleo industriale Rieti-Cittaducale e la costruzione dell’Ospedale San Camillo de Lellis.
E ciò si dovette per dovere di riconoscenza a quei politici locali che, pur formatisi durante il ventennio, dettero buona prova di se agli albori della nuova era repubblicana.
Poi arrivarono i rampanti della mia generazione. Coloro che erano stati appena sfiorati dai disagi della seconda guerra mondiale e che non vedevano l’ora di prendere il posto dei vari Bernardinetti, Leonardi, Coccia, Anderlini ecc..
Sono i campioni di questa nuova generazione, tutti nati negli anni trenta del secolo scorso, che hanno mancato al loro dovere nei confronti della collettività sabina. Ne sono testimone diretto perché anch’io negli anni sessanta e settanta ne ho fatto parte. Me ne distaccai nel 1980 quando capì che costoro avevano altro per la loro testa più che occuparsi dei problemi della provincia di Rieti.
E’ gente che ha usato la politica per sistemarsi, come si suol dire, facendosi anche le scarpe l’un l’altro non tenendo nel debito conto i vantaggi della collettività.
E durante trenta anni la provincia di Rieti ha perduto quasi tutti gli uffici importanti che la qualificavano come tale e soprattutto ha perduto il Nucleo industriale Rieti-Cittaducale perché la politica non è stata capace di dotarlo delle infrastrutture necessarie per sopravvivere alla cessazione dei benefici della Cassa per il Mezzogiorno. Onorevoli grandi e piccoli (quelli regionali) godono oggi di pensioni d’oro e di incarichi super retribuiti come premio della loro più totale inefficienza politica, responsabili unici della morte economica del nostro territorio.
A questi sono poi succeduti, dopo tangentopoli, alcuni di seconda linea che, anziché tentare di invertire questa tendenza, si sono adattati al peggio trasferendo i loro interessi a Roma e mettendo le cariche conquistate sul territorio al servizio dei loro padroni romani, inondandoci di promesse e di bugie al limite della decenza.
In questi ultimi anni è accaduto di tutto, ad ogni perdita di posti di lavoro: promesse di interventi mai realizzati, qualche volta si sono favorite anche delle soluzioni speculative abortite in fallimenti, dopo aver catturato contributi dalla stato, come nel caso della morte della Telettra.
In occasione di trasferimenti di uffici provinciali dalla città di Rieti altrove, non sono riusciti nemmeno in un caso ad impedirlo.
Tutti sanno che a Rieti un Prefetto vero e proprio non ci sarà più perché questa sede prefettizia non è più prevista da quando fu abolita dal Governo Monti e che l’ufficio del Prefetto è stato sostituito con l’ UTG (Ufficio Territoriale del Governo). L’attuale sede è una sede periferica di quello di Viterbo, retta da un vice prefetto e come tale rimarrà fino a quando non sarà varato il nuovo riassetto del quale siamo in attesa da Monti in poi. Eppure il deputato del PD in carica continua a dichiarare che tutto rimarrà come prima, come se niente fosse accaduto.
Ad ogni novità in negativo corrisponde una assicurazione che non è vero niente, mentre la realtà è ben diversa. C’è da rimanere trasecolati!
Tutti gli amministratori dei comuni della Sabina tacciono aspettando che il fato compia il suo destino. Oggi chiunque voglia far politica deve agganciarsi ad un carro, e non c’è carro disposto ad accorgersi di quello che sta accadendo.
C’è una proposta in Parlamento che in una eventuale ristrutturazione regionale ci catapulta nella regione adriatica al di la degli Appennini, insieme al Molise. Roba da manicomio!
La stessa proposta mette il territorio della ex provincia di Viterbo nella regione appenninica insieme alla Toscana e all’Umbria, escludendo la ex provincia di Rieti che oggi come oggi fa parte i quella di Viterbo, dove stanno trasferendo tutti i nostri uffici.
Non vedere queste cose, o far finta di niente, è un vero delitto politico in danno della nostra comunità, eppure è così.
Io penso che quei quattro burattinai che manovrano nel nostro territorio abbiano un obiettivo preciso: ingarbugliare le cose in modo tale che alla fine verrà proposto di inserire tutto il nostro territorio nell’Area metropolitana romana come male minore, obiettivo nascosto che loro perseguono fin dal 1990, con il risultato che la Sabina diventerà tutta una nuova borgata di Roma e noi dei nuovi borgatari.
Di fronte a questa situazione è necessario reagire. Bisogna che la gente si riappropri della facoltà di decidere del proprio destino togliendo la delega a tutti costoro che non sono degni di essere chiamati rappresentanti del popolo.
L’ultima riforma costituzionale mette a disposizione del popolo l’istituto del referendum per chiedere il trasferimento di un comune confinante da una regione all’altra. Leonessa ci provò nel 2008. La cosa non riuscì per il mancato raggiungimento del quorum per pochi voti, pur avendo raggiunto la maggioranza dei votanti.
Quel referendum però risentì di una spinta politicizzazione dovuta alla realizzazione degli impianti invernali di risalita del Terminillo.
Per battere il sindaco Trancassini fu posta in essere una campagna di menzogne da far rabbrividire. Furono spaventati i vecchietti perché avrebbero perduto la farmacia, il trasporto regionale e le pensioni (c’è qualcuno che conserva i volantini dell’epoca). La stessa tecnica viene usata da tempo qui da noi per ogni cosa.
Questa volta però Leonessa ha capito la lezione. Un gruppo di volenterosi, che non appartengono ad alcun gruppo politico, ha deciso di riappropriarsi del loro diritto di decidere e ha dato il via ad una raccolta di firme per chiedere che il Comune, questa volta per tutta la cittadinanza e non per una parte di essa, dia corso ad un nuovo referendum per il trasferimento di questo comune nel territorio dell’Umbria , della quale segua il destino in sede di istituzione delle macroregioni di cui si parla.
In tutta la ex provincia di Rieti ci sono ben quattordici comuni che confinano con l’Umbria, compreso il comune di Rieti che confina direttamente con il comune di Terni. Si tratta di Rieti, Labro, Morro Reatino, Colli sul Velino, Leonessa, Cittareale, Accumoli, Greccio, Montebuono, Magliano Sabina, Configni, Cottanello, Vacone, Torri in sabina.
L’inserimento della Sabina nel territorio della macroregione adriatica o nell’area metropolitana di Roma sarebbe un colpo mortale definitivo per tutti quei comuni che fino al 1927 fecero parte della Provincia Umbra che comprendeva Perugia,Terni e Rieti, istituita nel 1861 al raggiungimento della Unità nazionale.
L’Umbria è la nostra destinazione naturale, non Viterbo, né l’Abruzzo e il Molise, e con l’Umbria la macroregione appenninica che comprende tutta la fascia appenninica centrale a nord di Roma.
Per evitare tutto questo è necessario che questi quattordici comuni escano dal letargo e chiedano tutti di far parte dell’Umbria, compreso il comune di Rieti che dista solo venti minuti da Terni, città alla quale è legata da evidenti interessi economici, turistici, culturali e storici.
Questa azione deve servire a convincere coloro che hanno la facoltà di decidere che non saranno perdonate negligenze in sede elettorale perché è arrivato il tempo di mettere da parte la politica del do ut des per sostituirla con una che tenga conto degli interessi generali di un territorio, pena la emarginazione e il sottosviluppo.
Per questo l’esempio di Leonessa è importante, perché apre la via ad un nuovo corso della partecipazione del popolo alla gestione della cosa pubblica locale, come vuole la costituzione della Repubblica italiana che, sulla scia di quella della Repubblica romana del 1849, afferma solennemente che il potere in una Repubblica promana dal popolo che ha il dovere di vigilare per non farsene espropriare dai tanti furbi e furbastri di cui è infestato il nostro Paese.