di Andrea Moiani
Andrea Gandini, classe 1997, è nato a Teramo ma vive a Roma. Arriva in Sabina con i suoi attrezzi per il progetto artistico “Route 313_ Arte in Sabina”, curato dal Centro di Ricerca e Sperimentazione Metaculturale e finanziato dalla Regione Lazio, attraverso il bando “Lazio Contemporaneo 2021”. Il progetto riguarderà i comuni di Vacone e Casperia ed avrà la durata di un mese. “Voglio creare qualcosa di esperienziale – dichiara l’artista – Non si tratta di un semplice percorso nel bosco, ma di entrare in un bosco dove si trovano opere che si mimetizzano con l’ambiente circostante”. Andrea Gandini, infatti, predilige il legno per realizzare le sue opere, anche se utilizza ogni materiale di riciclo. Le sue sculture, ci dice, diventano un omaggio per qualcosa che prima era una forma di vita. Il suo progetto conterà un totale di 10 opere, delle quali 9 presso il comune di Vacone (località Il Pago) e una a Casperia, nel piazzale Oddo Valeriani. Per quest’ultima installazione è stato anche indetto un questionario con il quale la cittadinanza sarà parte attiva del progetto, decidendo il soggetto della scultura partendo da varie bozze proposte dall’artista. Il questionario, battezzato “Vox Populi”, scade il 4 giugno 2021 alle ore 12:00 ed è consultabile in questo sito: https://tinyurl.com/voxpopulicasperia .
Abbiamo incontrato l’artista mentre era al lavoro nel primo tratto del suo itinerario. Si tratta della località “Il Pago” di Vacone, mistico e silenzioso parco caro alla dea Vacuna, che sarà la protagonista delle installazioni. “Ho scelto la dea Vacuna – spiega l’artista-, perché si tratta di un’area in cui in antichità si facevano riti in suo onore. La dea Vacuna è così poco documentata che si può reinterpretare il culto: ti puoi inventare una religione che non esiste, immaginando un vero e proprio esperimento creativo”.
Al centro del bosco si estende una radura in cui svetta la piccola chiesa di San Michele Arcangelo, eretta nei pressi di un antico eremo. A pochi passi c’è il “laboratorio all’aperto” di Andrea Gandini, intento a lavorare tronchi provenienti da un albero che minacciava di cadere sul municipio e che sono stati donati per realizzare le opere.
Abbiamo intervistato Andrea Gandini durante una sua pausa di lavoro, nel corso di una lunga chiacchierata nella quale abbiamo chiesto di lui e del suo progetto. Vi proponiamo l’intervista integrale, ringraziando l’artista per la sua disponibilità.
Andrea, sei giovanissimo eppure hai già realizzato decine e decine di opere. Più di 60 sculture solo a Roma, con molte altre in giro per l’Italia. A quanti anni hai iniziato? Come è nata questa passione?
“Ho iniziato a fare sculture in garage a 16 anni. Ho sperimentato molto, poi dopo circa un anno ho deciso di realizzare le opere in strada, dopo aver finito il materiale. Da lì è nata la mia passione, che mi ha dato la possibilità di incontrare tante persone diverse. Mi piace compiere viaggi e cogliere l’aspetto occasionale della vita”.
Hai iniziato a lavorare il legno sin da subito, o sei partito con qualche altro materiale?
“Amo molto materiale di riciclo e i materiali “poveri”. Ho lavorato anche con mattoni di tufo che si possono trovare in giro per Roma, addirittura fuori dai cassonetti. Di fronte al mio ufficio ne venivano lasciati una ventina al giorno per circa un mese e quindi ho deciso di provare a lavorarli”.
C’è qualche legno in particolare che preferisci lavorare?
“Ci sono sicuramente legni più piacevoli e legni meno piacevoli da lavorare, ma quel che mi interessa veramente è la forma del tronco dal quale estrapolare il contenuto. Non amo i tronchi con la forma tradizionale cilindrica: preferisco quelli che hanno una certa nodosità”.
Ad ogni tipo di legno è associato un significato simbolico. Mi viene da pensare alla quercia, segno di longevità e di resistenza. Scegli il tipo di legno anche in base a questi significati? Ciò influisce con il tipo di scultura da realizzare?
“No, perché penso che sia più importante la situazione attorno al tronco rispetto alla sua specie. Il contenuto dell’opera lo detta il contesto in cui si trova il tronco, ma anche la storia del tronco stesso. Ti faccio un esempio. Una volta ho lavorato un tronco molto antico nelle catacombe di San Sebastiano a Roma. Un giorno un fulmine ha colpito il timpano della chiesa spaccando in due la croce. Rimbalzando, il fulmine si è avvinghiato intorno all’albero lasciando un solco a vortice. Lavorando il tronco ho lasciato una cicatrice perché ero rimasto colpito dalla sua storia. Un’altra cosa che mi interessa molto è la storia degli alberi antichi, perché hanno visto molte cose. Lavorandoli puoi trovarci di tutto, anche nidi di animali che sono lì magari da secoli”.
Ti va di raccontarci un episodio che ti è rimasto particolarmente impresso mentre stavi scolpendo?
“Una volta, scolpendo lungo le sponde del Tevere, ho visto un senzatetto pescare nella parte più sporca del fiume sostenendo che lì ci fossero i pesci migliori. Ad un certo punto lo vedo catturare un pesce, calpestarlo e portarlo ad altri senzatetto sotto un ponte. Si tratta di un episodio che mi ha colpito molto, sia per la felicità dell’uomo, che sapeva di aver garantito la cena a lui e ai suoi amici, sia perché sono venuto a contatto diretto con le difficoltà sociali”.
La Sabina ha un enorme patrimonio ambientale, con tantissimo verde. Cosa ti ha spinto a venire in Sabina? E perché proprio a Vacone e Casperia?
“La Sabina è un’area che mi ha sempre affascinato, ma non ci ero mai venuto prima di scoprirla. È stato molto bello, perché ho notato che ci sono molte opportunità non sfruttate in diversi ambiti. Dal punto di vista turistico, la Sabina sarebbe a livello della Toscana perché ci sono i presupposti necessari: ristoranti buoni, accoglienza calda e posti bellissimi. Io sono il primo colpevole, ad esempio, a non aver visitato l’abbazia di Farfa. Trovo davvero strano il fatto che la gente di fuori non la conosca”.
Che tipo di accoglienza hai trovato a livello di comunità locale?
“Ho notato molto entusiasmo e questo mi ha fatto un grande piacere. È stato bello anche interagire con loro, perché quando mi reco in un posto cerco sempre di diventare amico con le persone che devono vivere quel posto. Non si tratta di “ruffianeria”, ma del fatto che mi fa piacere che le persone poi si occupino di proteggere e mantenere le opere che rimangono lì. Vorrei parlare sia al semplice passante, sia all’adolescente cercando di renderli partecipi”.
Pensi che la street art e le installazioni possano diventare un tipo di attrazione culturale? Parlo soprattutto della Sabina, già ricca di chiese, palazzi nobiliari e siti archeologici.
“Da diversi anni i musei all’aperto sono in crescita rispetto ai musei tradizionali. Credo che la gente non voglia andare più nei musei al chiuso. Questo non è solo per via della pandemia: è una tendenza che si sta verificando già da 4-5 anni. Credo che questo fenomeno vada sfruttato, perché riguarda anche un modo diverso di sfruttare e fruire l’arte”.
Andrea, torniamo a parlare di te. Hai un’opera alla quale tieni di più?
“Non penso tanto alle opere che ho fatto, quanto a quelle che non ho fatto e che vorrei fare”.
Le opere che realizzi sono destinate a rimanere dove sono nate? Oppure sono previsti spostamenti in mostre e gallerie specifiche?
“Le opere sono destinate a rimanere lì, ma è inevitabile che vengano spostate. In questo caso ci rimango molto male, ma allo stesso tempo so che devono seguire un ciclo naturale secondo il quale devono essere reimpiantati alberi nuovi. Nelle vie di Roma c’è un bisogno disperato di alberi nuovi, essendoci più cemento che verde. Gli unici posti in cui trovare tronchi da lavorare sono le aiuole”.
Come reagiresti se una persona prendesse una delle statue senza permesso?
“È successo molte volte e mi ha dato molto fastidio. Le sculture sono lì per essere viste e godute da tutti e il fatto che una persona abbia l’arroganza di prenderla tutta per sé, oltre a privare gli altri della possibilità di vederla, in qualche modo crea un danno. La prima opera che ho realizzato l’ho trovata nello studio di un architetto che l’aveva comprata da un terzo. Al che l’ho ripresa e l’ho rivenduta”.
C’è stato qualche posto che ti ha colpito particolarmente in cui hai lasciato un’opera e in cui sei tornato?
“Sì, in moltissimi casi. Sono tornato spesso a Stigliano (MT), dove ho festeggiato anche un compleanno, un Natale e una Pasqua e in cui sono anche tornato a lavorare. Penso, però, che la differenza non la faccia tanto l’aspetto di un posto, quanto le persone che trovi e come interagisci con loro”.