83 anni fa, quei mesi estivi del 1937- 40, li ricordo come fosse ieri, era una famiglia numerosa quella di Pasquale Torri, ferroviere, 7 figli, Antonio, Angela (morta poco dopo essere nata), Pietro (mio padre), Nannina, Giovannina, Lidia, Peppino, del 1916, fece la campagna di Russia nella Seconda Guerra Mondiale e si salvò per merito di una famiglia ucraina che lo curò, trovandolo mezzo congelato e poi lo mise sul treno, dopo qualche anno, destinazione Anagni, Via Napoli Cassino.
Ad Anagni, mio nonno Pasquale, ferroviere in un delicato periodo, abitava con tutta la famiglia in quel casello ferroviario, dove era stato coltivato un grande orto, che mio padre chiamava la pizzicheria, mi raccontava storie da favola, da giovane si rifugiava lì, solo con una tinozza d’acqua del pozzo gelata, gran fette di pane casareccio, un pò di sale e giù a mangiare finocchi, pomodori, sedani, cetrioli. Il casello ferroviario era circa 18 chilometri dalla città dei Papi, antica, bella, storica, nota per Bonifacio VIII e il famoso schiaffo. Anagni è una cittadina nella provincia di Frosinone da visitare anche oggi, con il suo Palazzo della Regione in stile longobardo e la dimora di Bonifacio VIII, ma anche con la fantastica cripta della Cattedrale, che tanto hanno acceso la mia fantasia. Mio padre, studentello, spesso la sera, quando frequentava la scuola tecnica, non riusciva a prendere il vecchio bus di Pippo Scattone, così si avviava a piedi, con la paura dei cani pastore. Vita dura, l’estate con le sorelle, a raccogliere legna lungo il fiume Sacco e gli uomini a scaricare vagoni ferroviari. II primo paio di scarpe le ebbe da giovanottello in dono da suo fratello Antonio e la domenica le lucidava con il nero del culo della grande caldaia, appesa giorno e notte ad un camino. Con la famiglia nonna e la sorella, zia Memma, invalida, da bambina cadde in una enorme caldaia di rame piena di acqua bollente, era comunque autonoma e collaborava intensamente all’andamento della famiglia. Mio padre, a 16 anni, dopo essersi diplomato in terza classe tecnica andò volontario in Marina, aveva fra le tante una sorella Anna (Nannina). Nannina era la sua prediletta, apparentemente severa e rigida come lui si era sposata con Salvatore Calvani, un ignorantone, non cattivo, che faceva l’operaio nelle Ferrovie, li aiutò il nonno, Cav. Pasquale Torri, sesta elementare (a quel tempo non era poco). Nelle Ferrovie era stimatissimo mio nonno Pasquale, per la sua intelligenza, l’entusiasmo, la volontà di lavorare, la tenacia, il talento naturale, calcolava con un solo sguardo i mucchi di breccia che occorrevano per un tratto ferroviario e ingegneri, con tanto di laurea, rimanevano a guardarlo ammirati e stupiti, un grande, mio nonno e mi adorava, ero per lui l’unico Torri! Il Cav. Pasquale era un bell’uomo, alto, portamento vincente,vestito sempre di blu, camicia bianca, cravatta, scarpe nere, stiamo parlando degli anni’ 80, mio padre, suo secondo erede, Pietro, era del 1904, volontario in Marina a 16 anni, brevetto di prima classe di radiotelegrafista, esperto nel famoso alfabeto Morse, era il segretario del tenente di Vascello Margottini, scomparso colla sua torpediniera nelle acque del canale di Sicilia nel 1942, e se mio padre non fosse stato esonerato (era uno dei più esperti radiotelegrafisti, per la sua perizia nel captare notizie nemiche in mezzo a centomila emittenti gracchianti, lavorava alla Italo Radio, poi Italcable, emittente unica italiana a cercare notizie con il mondo e trasmetterle), sarebbe stato sicuramente imbarcato con Margottini, suo primo istruttore in Marina a Taranto e medaglia d’oro.
Il primo figlio di Pasquale Torri era invece mio Zio Antonio, da qui il mio nome, per una semplice pleurite andò al creatore. Nannina la prima sorella aveva 4 figli, il primo bellissimo, ribelle a certe assurde prese di posizione di suo padre, Salvatore Calvani, sgurgolano, si chiamava come me e nella seconda guerra mondiale, nel 1943, fu ammazzato a colpi di mitraglia dai tedeschi, in fuga negli scontri che ci furono alla Piramide Cestia di Roma, aveva appena 16 anni. Quel sodalizio delinquenziale tra Hitler e Benito Mussolini, per superbia dittatoriale ed avidità del potere, scatenò l’inferno nel mondo.
Nel 1940, avevo 10 anni e ricordo tutto nei particolari, le divise nere dei fascisti, le bombe a mano attaccate al cinturone e visi, specchi dell’arroganza, della prepotenza, fra costoro il corpo militare della Milizia, un esercito di gorilla, a proteggere Benito, un folle, malato di potere che aveva un’amante ufficiale, Claretta Petacci, Miriam, sua sorella, per volere del Duce diventò attrice, ma questa è un’altra storia. Tornando alla famiglia Torri ho sempre in mente nella casa del frusinate, quello che io amo chiamare il piazzale dei sogni, ne ho splendidi ricordi, mio nonno d’estate, ospitata tutti i suoi figli e nipoti, eravamo se ricordo bene una decina di cugini, rispettive madri e se arrivava qualche padre, a tavola nel salone della casa, sul piazzale, si era a volte fino a 30. Un prosciutto di otto, dieci chili, spariva in un attimo e una pagnotta di pane casareccio, fatto a mano da mia nonna, e che poteva pesare fino a tre chili, veniva divorata. Con mio nonno viveva anche zia Memma, il famoso pranzo della domenica avveniva tutte le sere e la domenica si raddoppiava con l’arrivo dei padri. Si mangiava in un grande salone con le sedie di paglia di Vienna e di legno di noce laccato nero lucido e alle pareti grandissimi ritratti degli avi scomparsi, dallo sguardo severo. Oggi a dirlo sembra una favola. Si era semplici, molto rispettosi, il nonno arrivava alle sei della sera, sul famoso piazzale dei sogni, fra conigli, galline, polli ,piccioni,faraone, c’era anche un gallo bellissimo, ma che , figlio di “buona gallina”, se ti avvicinavi ad una pollastrella ti beccava con violenza. E noi tutti in fuga, e giù grandi risate della intera famiglia. Mi fermo qui e della famiglia Renzetti di mia mamma, sempre di Anagni , dove sono nato e dove non esistevano, nel 1930, cliniche, anche ospedali, le ragazze partorivano a casa dei loro genitori ed infatti io sono nato in Via Santamaria, presso la Cattedrale (da visitare per gli affreschi del 1100 e la meravigliosa cripta), in una casa bellissima e ricca. Mio nonno Gregorio Renzetti, padre della mamma, era uno dei pochi signori di Anagni, aveva tre figli Renato, Emo, Teresa. Nonno Gregorio era un gran signore, proveniva da una famiglia agiata, mia madre diventò maestra ed era del 1905, vivevano di rendita, dal raccolto delle loro terre ricche di vino, olio, grano, formaggi, polli, la casa dove sono nato era grandissima e con varie dispense, oggi è la sede del Vescovo. Nonno Gregorio, dai bei colletti bianchi inamidati era sposato con nonna Amalia, una Bottini di Ferentino (borgo ciociaro noto per le sue acque solfuree e le sue terme), suo cugino, Edoardo, fu il segretario del Principe Umberto e un cugino gesuita insegnava all’Università gregoriana in Piazza della Pilotta di Roma.
Quando avevo appena tre anni, ogni volta che mio nonno Gregorio, mi prendeva in braccio, inevitabilmente le sue pipe di coccio cadevano dalle mie piccole mani e si spaccavano. Ebbe tre figli da Amalia, Renato, Emo, Teresa e i loro figli, miei cugini, che nomino ora con affetto sono Mariano, Angelo, Guglielmo e Antonio, Luigino, direttore didattico di scuola elementare morì per infarto (ero molto legato a lui) e Pietrino scomparve molto giovane, lasciando moglie e tre figli, quel nome ricordava un Pietrino sacerdote , un santo raccontavano, professore di latino, un parente stretto.
Mi fermo qui, perché la famiglia di mia madre e Ferentino meritano molto di più, hanno diritto ad un’altra storia.
tt.