di Giorgio Giannini
Sull’origine del nome ci sono varie ipotesi: alcuni sostengono che derivi da “carne levamen” (allontanamento dalla carne, cioè non si poteva mangiare la carne); altri ritengono che derivi da “carnem levare” (togliere la carne dalla dieta) o da “carni vale!” (carne addio) o da “carnem laxare” (sospendere l’uso della carne) da cui deriva il termine dialettale toscano Carnasciale, che era il luculliano banchetto che si teneva la sera, precedente il mercoledì delle Ceneri, dal quale inizia il digiuno che segna l’inizio della Quaresima (i 40 giorni prima della Pasqua). Questo banchetto ricorda le orge gastronomiche effettuate in passato prima dell’arrivo della Primavera, come buon augurio per i nuovi raccolti agricoli. Pertanto il Carnevale è sinonimo di sregolatezza, soprattutto alimentare, ed è vissuto come “valvola di sfogo” degli istinti repressi per il resto dell’anno, che altrimenti potrebbero causare danni seri sia all’individuo che alla collettività se rimanessero senza sfogo. Per questo motivo gli antichi romani coniarono il famoso detto “semel in anno licet insanire“ (una volta l’anno è lecito impazzire), che è un “rito liberatorio” che permette alle persone di prepararsi in modo gioioso all’adempimento dei propri doveri sociali.
Secondo altri studiosi, il termine Carnevale deriva da “car naval” (il carro navale), cioè la simbolica nave con le ruote sulla quale il Dio Luna o il Dio Sole percorreva la strada della grande festa che nell’antica Babilonia si teneva per celebrare l’inizio del nuovo anno, all’equinozio di Primavera. Più semplicemente simboleggia la partenza per il nuovo anno. Anche questa festa, come i Saturnali romani, si svolgeva in una libertà sfrenata, una specie di “capovolgimento dell’ordine sociale e morale”, nel quale non comandano più né le autorità politiche né quelle religiose. I ruoli sociali sono invertiti. Infatti, un’antica iscrizione babilonese del 3.000 a.C. afferma che l’ancella prende il posto della signora, lo schiavo diventa signore e il potente sta in basso come l’uomo comune. Pertanto il Carnevale era una valvola di sfogo politico e di controllo sociale, che consentiva di incanalare le rivendicazioni sociali, soprattutto attraverso i riti della “inversione sociale”, nella quale i servi per un giorno diventano i padroni.
Nell’antica Roma era permesso durante i Saturnali praticare attività o giochi altrimenti proibiti, come il gioco di azzardo, in particolare con i dadi.
Nei giorni della festa primaverile regnava uno speciale Governatore, simile a quello che a Roma si chiamava Re dei Saturnali e che nel medioevo e nel Rinascimento diventa il Re Carnevale.
A livello temporale, in passato il Carnevale iniziava nel periodo dei Saturnali, le feste pagane in onore di Saturno (il mitico Dio dell’Età dell’Oro in cui gli uomini vivevano in pace, senza guerre né conflitti sociali, e nell’abbondanza), che si tenevano anticamente nel mese di dicembre (con inizio dal 17 e duravano prima tre giorni e poi sette) e che la Chiesa spostò lentamente in avanti, per non farli coincidere con il Natale, fino ad arrivare al mese di febbraio quando nell’antica Roma si festeggiavano i lupercali, che erano cerimonie di purificazione che i sacerdoti “luperci”, seguaci del Dio Fauno, ufficiavano il 15 febbraio in una grotta sul monte Palatino.
In alcune Regioni il Carnevale inizia subito dopo il Natale, come recita un proverbio bergamasco e bresciano “Dopo Natale è subito Carnevale”. In altre Regioni inizia dopo l’Epifania o dopo la Candelora, che ricorre il 2 febbraio. La data che prevale per il suo inizio è il 17 gennaio, festa di S. Antonio.
La durata del Carnevale dipende dalla Pasqua: termina infatti con l’inizio della Quaresima (che precede di 40 giorni la Pasqua) con il giorno di “martedì grasso” (cosiddetto perché è l’ultimo giorno di sregolatezze alimentari). Questo giorno dipende dal ciclo lunare che segna la ricorrenza della Pasqua.
Il Carnevale ricorre quindi nel periodo precedente la Primavera, che nel calendario dell’antica Roma (prima della riforma del Re Numa Pompilio che portò nell’anno 713 a.C. i mesi dell’anno da 10 a 12), segnava l’inizio del nuovo anno civile e liturgico e precisamente con la “luna nuova” del mese di marzo.
Nell’antica Roma si svolgevano tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo alcune feste di tipo carnascialesco, come l’Equiria, la corsa di cavalli con i cocchi, in onore del Dio Marte, protettore di Roma, in quanto padre di Romolo e Remo, al quale era dedicato il primo mese dell’anno, che era quello di Martius (marzo) prima della introduzione del Calendario Giuliano, introdotto da Giulio Cesare nel 45 a. C..
Le corse dei cavalli si tenevano in origine nel Circo di Alessandro, nel Campo di Marte (Campus Martialis, detto ancora oggi Campo Marzio) o sul Celio e continuarono fino in epoca barocca, senza più i cocchi, e si tenevano prima sul Campidoglio, poi al Testaccio e infine nella Via Lata (l’attuale Via del Corso) da Piazza del Popolo a Piazza Venezia. Con il passare del tempo, la corsa dei cavalli senza cavaliere (detti “barberi” o “berberi”), divenne il momento culminante del Carnevale.
La presenza delle maschere deriva dalla credenza che durante il periodo del Carnevale i morti rinascano e si confondano con i vivi, con i quali si comportano da buffoni e da folli, prendendoli in giro, aggredendoli, spaventandoli. Però un significato più semplice è che le maschere servivano all’individuo per eccedere in comportamenti inusuali, sia per il ruolo che per la dissolutezza, senza farsi riconoscere.
Una caratteristica del Carnevale sono i carri allegorici, oggi collegati all’attualità politico-sociale, che derivano dai carri festosi tirati da animali bardati in modo spesso bizzarro e dai quali si gettavano tra la folla, degli alimenti, soprattutto dolci, a simboleggiare che in quel periodo nessuno doveva soffrire la fame e tutti dovevano godere di un certo benessere alimentare.
Altra caratteristica del Carnevale sono i balli e soprattutto gli scherzi, che degenerano spesso in manifestazioni di lascività e dissolutezza incontrollata.
Il Carnevale finisce in genere con il rogo del fantoccio (chiamato nel Lazio Pantasima o Pupazza), adornata spesso con fuochi d’artificio installati sulle spalle e sul capo, che rappresenta, secondo le tradizioni locali, il Re Carnevale o il diavolo e segna la fine del periodo delle feste carnascialesche ed il ritorno al rispetto delle usanze e delle regole quotidiane, imposte dalle autorità civili e religiose. Intorno al fantoccio che brucia le persone ballano e cantano a simbolizzare la gioia per il prossimo inizio della Primavera.