di Marco Giuliani
Oggi pomeriggio, nella Chiesa degli Artisti a Roma, è stato celebrato il funerale di Stefano D’Orazio. Purtroppo la cerimonia è stata condizionata dal Covid 19 che, oltre a spezzargli la vita, ha costretto i presenti a rispettare le misure restrittive imposte dallo Stato. Il 6 novembre, giorno della morte dell’artista, per i Pooh (con i quali ha suonato la batteria, il flauto, scritto canzoni e cantato dal 1971 al 2009) e per tutti noi il colpo è stato durissimo, sarà impossibile dimenticare la sua professionalità, il suo sorriso, la sua disponibilità. Era nato a Roma il 12 settembre del 1948, già dagli anni del liceo cominciò ad avvicinarsi alla musica, acquistò una batteria di seconda mano e, con i The Kings, cominciò ad esibirsi in diversi locali di Roma. Successivamente collaborò come arrangiatore e musicista anche nel cinema e nel teatro. Nel 1971, dopo l’uscita di Valerio Negrini (che dalla batteria passò alla scrittura di testi), diventò il batterista dei Pooh. Nel 2009 Stefano lasciò i Pooh, in quell’anno fu protagonista (con Roby, Dodi e Red) in ben 38 date in giro per l’Italia. Per la commemorazione del cinquantennale rientrò per l’ultimo tour dei Pooh. Dal 2010 in poi si dedicò alla scrittura di musical e nel 2018 pubblicò il suo secondo libro, due romanzi e alcune canzoni per spettacoli teatrali.
Dopo aver fatto un veloce ritratto di Stefano D’Orazio è doveroso, da parte mia, dare a Stefano quel che è di Stefano e dell’incompetente a chi è incompetente (una massa sterminata). Spesso i cosiddetti esperti, quelli chi credono di esserlo e quelli che ascoltano il cantautorame intellettualoide, hanno manifestato dei dubbi sulle capacità percussive di Stefano D’Orazio, per loro era uno con poca tecnica, non velocissimo e mediocre negli assoli (che in realtà non ha mai proposto nei concerti dei Pooh). A costoro voglio rispondere che la batteria nasce per “accompagnare” e per “scandire il tempo”…Stop. Per la musica dei Pooh lui è stato perfetto, nessuno dei quattro ha mai intaccato, con una smisurata riconoscibilità, un equilibrio che negli anni è stato eccezionale. Per quanto riguarda gli assoli…ma veramente qualcuno che crede che D’Orazio non fosse capace di farne uno? Lui, come i grandi, faceva ciò che serviva, senza inutili fronzoli (avete mai sentito concerti con assoli di Peter Erskine o di Jeff Porcaro? Forse quest’ultimo ne ha fatto solo uno, nel tour del ‘91, in tutta la sua carriera). Oggi per i musicisti conta la velocità, la supertecnica, non sanno che per lasciare il segno bisogna fare le cose semplici (pur avendo grandissime capacità). Gli ingredienti del piatto “Cacio e Pepe” sono: la pasta, il pecorino e il pepe, non è che per sembrare più preparato e creativo un cuoco aggiunge l’aglio, la maionese, lo zenzero…basta quello! Ciao Stefano…grande musicista, grande uomo, semplice per scelta.
foto tratta da BlogSicilia Italpress