di Marco Giordani
Venerdì 3 Aprile la stampa locale riportava che erano “risultati positivi al Covid-19 [..] cinque addetti dell’area sanitaria della casa circondariale”; esame presumibilmente ordinato dalla ASL, da cui dipende l’area sanitaria del carcere.
Da quanto abbiamo appreso, non sembra che a seguito di ciò siano stati effettuati esami su quanti (agenti, operatori e soprattutto detenuti) fossero venuti a stretto contatto con i cinque operatori sanitari.
Diciamo “soprattutto detenuti” non perché la loro salute abbia un valore superiore a quello degli agenti, ma perché gli operatori sanitari sono lì per avere contatti di carattere medico, si presume anche ravvicinato, con i detenuti.
Ora, qualora i sanitari abbiano portato il virus dall’esterno, possiamo ragionevolmente pensare che nessuno dei detenuti abbia ricevuto il virus da uno dei cinque sanitari? Crediamo di no.
Altra ipotesi è che i sanitari abbiano contratto l’infezione nel proprio ambiente di lavoro, come accade anche per loro colleghi negli ospedali. Solo che negli ospedali è normale che il virus sia presente; in carcere ci si aspettava, chissà perché, di no.
Comunque sia, oggi quasi certamente il virus gira nel carcere. Gira in un ambiente di massima promiscuità, dove è impossibile il distanziamento; dove non esistono mascherine neppure fai-da-te, dove solitamente anche saponi e disinfettanti sono merce rara.
Ormai tutto il mondo, tranne il Governo Italiano, ritiene necessario alleggerire le presenze in carcere, e questo grazie alla Magistratura di Sorveglianza sta già accadendo, seppur insufficientemente.
Ma il problema che qui poniamo è anche per chi, comunque, rimarrà recluso.
Finora, nel mondo libero, quando si trova un singolo positivo, vengono posti in quarantena tutti coloro che abbiano avuto con esso un contatto. Quando poi la positività è riscontrata in comunità (e pensiamo alle RSA) sono sottoposti a tampone tutti gli ospiti (centinaia di persone) ed in seguito anche tutta una cittadina (migliaia). Perché nel carcere, tanto più con la impossibilità di preservarsi, nulla di ciò è stato fatto?
Certo ci sembra impossibile, dati gli spazi, porre ogni detenuto in isolamento di quarantena. Perciò è indispensabile, quanto prima, procedere a dei tamponi a tutta la popolazione carceraria (detenuti, agenti, operatori).
Questo perché il virus lì dentro gira e quando esploderà il contagio, esso coinvolgerà tutti. E tutti saranno coinvolti dal panico, non avendo come difendersene.
E se qualcuno penserà “meglio, sfoltiamo un po’ di feccia” non si illuda che questa bomba non deflagri anche all’esterno.
La amministrazione penitenziaria, nei suoi vertici – pur con i loro evidenti limiti -, questo non può non capirlo e non saperlo (anche se in Parlamento sostiene ancora che a Rieti nella rivolta siano morti in tre e non in quattro). E’ però probabilmente mossa da priorità diverse da quelle della nostra città, con il suo ospedale già in sofferenza, e niente affatto impermeabile al proprio carcere.
Chiediamo perciò che chi ha autorità, di qualsiasi tipo, si faccia sentire o faccia qualcosa finché si è in tempo a limitare il danno: la Protezione Civile, la ASL, il Sindaco (non dimentichi di essere l’autorità sanitaria locale), il Prefetto (che peraltro è già dovuta intervenire per le case di riposo), magari anche il Vescovo, facendo eco locale all’invocazione di Papa Francesco.