di Maria Grazia Di Mario
Che la Provincia di Rieti sia una Cenerentola nel Lazio lo dimostra chiaramente un “sistema che arranca nella gestione Covid 19”, dall’assenza delle Usca già operative in tutte le Province, alla mancata comunicazione di un qualsiasi protocollo e di un coinvolgimento della medicina di base da parte delle Asl di riferimento, all’aumento preoccupante di infezioni e ricoveri in ospedale anche tra il personale sanitario, ai poco convincenti report che sembrano non corrispondere alla realtà. A denunciare una situazione allarmante è Paolo Bigliocchi, medico di base, già consigliere comunale di Rieti dal 1990 e sindaco della città dal settembre 1992 al settembre 1993. Dal 2009 è stato anche consigliere provinciale con delega alla sanità, oltre che presidente della commissione attività produttive e della consulta provinciale del volontariato. Dal giugno 2012 infine assessore comunale nella giunta Petrangeli, ricoprendo l’assessorato al personale, Polizia Municipale e rapporti con il Consiglio. Il suo mandato termina nel giugno 2017.
Lei ha esperienze anche nella pubblica amministrazione, essendo stato consigliere provinciale con delega alla sanità e Sindaco, cosa crede non stia funzionando dal punto di vista della medicina di base?
“Stiamo vivendo una fase decisamente più impegnativa rispetto alla prima, probabilmente perché la prima ha coinciso con il momento in cui è scoppiato il problema e quindi forse si è tamponato in tempo, con il lockdown totale. A livello provinciale assistiamo ad una evoluzione significativa, la presenza di punte di 1400 e passa positivi al giorno lo dimostra perché dobbiamo fare sempre i conti con la popolazione esistente. La nostra provincia vale mezza via Prenestina, se ragioniamo sui numeri e facciamo un rapporto tra contagiati ed abitanti siamo di fronte a percentuali importanti. Io sto vedendo molti più casi di positività in questa seconda ondata che non a marzo, con tutte le difficoltà che ci sono, col sistema che arranca”.
Anche la percentuale dei decessi, in rapporto agli abitanti, è alta secondo lei?
“Sì, noi possiamo sempre dire che la gravità dei sintomi è legata alla fascia di età, possiamo parlare di comorbilità, ma il nostro territorio ha una popolazione anziana e il problema non si può sottovalutare. Un errore cui stanno cercando di rimediare e riguarda in modo specifico Rieti è che ancora non sono state attivate le Usca, quando in tutto il Lazio già sono operative, in loro assenza la terapia domiciliare è blanda. Solamente oggi è uscito un bando per reclutare specialisti e infermieri. Noi come medici di base siamo stati praticamente ignorati, dal marzo scorso non ci è stata recapitata dalla Asl una mascherina, o un paio di guanti. La colpa è anche nostra che abbiamo permesso una dequalificazione della professione, sta di fatto che siamo considerati soggetti collaterali”.
La terapia domiciliare non dovrebbe essere un elemento prioritario in questa fase?
“Certamente, io sono convinto che questo mestiere bisogna farlo con le mani, con gli occhi, con le orecchie e con il naso. Non sono un seguace della telemedicina, i pazienti vanno visti, visitati e va capito il problema, è chiaro che lavorando via telefonica si rischia di ingolfare il sistema, perché al primo squillo si procede con il tampone quando magari non è necessario”.
Da qualche giorno vi hanno dato la possibilità di fare i test antigenici veloci.
“Io sono tra quelli che ha risposto positivamente al bando della Asl una decina di giorni fa, ma ho detto pure quello che penso. Sono assolutamente disponibile ma non nei nostri ambulatori, bensì in locali messi a disposizione dalla Azienda Sanitaria Locale. Non posso creare nello studio medico una promiscuità tra paziente covid e paziente non covid, non possiamo diventare delle bombe virali. Dopo di che se c’è carenza di personale, se ci sono difficoltà, per carità siamo tutti soldati al fronte quindi ci mettiamo l’elmetto e andiamo sul campo di battaglia, ma in una struttura messa a disposizione dalla Asl”.
Ha registrato un consistente incremento di mutuati che si sono infettati?
“Io inizio la mattina alle 7 e finisco di lavorare tra le 23 e mezzanotte, tra pazienti che vedo e telefonate”.
Dunque sono aumentati?
“Quantomeno sono in rialzo i pazienti che hanno paura di averlo. C’è un dato matematico che dimostra quanto sia cresciuta, quest’anno c’è stata una domanda di vaccinazioni antinfluenzali più del doppio rispetto agli anni precedenti. Si stanno vaccinando persone che non si sono mai vaccinate, c’è una richiesta continua e mancanza di vaccino peraltro”.
Lei consiglia questi vaccini, sia per l’influenza che per lo pneumococco?
“Non c’è nessuna dimostrazione scientifica che il vaccino antinfluenzale sia utile per il covid, analogo discorso per lo pneumococco, però è importante avere una maggiore facilità di diagnosi in tal senso. Leggevo uno studio americano nel quale si ipotizza che, stimolando un po’ la reazione immunologica delle persone, possa diventare un pò più blanda l’infezione, ma sono tutte chiacchiere. Fatte da me non sono niente, ma tanto fanno chiacchiere pure i virologi che vediamo in tv, allora ce lo possiamo permettere tutti di dire ciò che pensiamo”.
Parliamo ora del protocollo medico. Se una persona la chiama e, dopo il tampone, risulta positiva al Coronavirus quale scenario si apre.
“Ci sono tre scenari: c’è gente che ha preso il covid a causa di un contatto con un positivo ma rimane completamente asintomatica, poi c’è il paziente pauci- sintomatico con pochi sintomi quali anosmia e ageusia, febbricola per un paio di giorni, ma nulla di più, e persone che hanno febbri elevate, desaturazione e chiaramente devono iniziare la terapia domiciliare, calibrata in rapporto alla fascia di età. Se ci troviamo a dover curare pazienti molto anziani ritengo sia anche un rischio la terapia domiciliare, comunque la cura è abbastanza standard, si usano eparina, cortisone ed antibiotico terapia. Esistono altri farmaci cui però non abbiamo accesso, come gli antivirali, destinati a pazienti molto gravi in terapia intensiva”.
Questi farmaci li prescrive con una sintomatologia più leggera, a scopo preventivo, o solo con febbre alta.
“Solo con febbre alta e problemi respiratori”.
Non si possono assumere prima della difficoltà respiratoria?
“Non ha grande senso, comunque dipende molto dall’età del paziente. Si fa generalmente questa terapia, anche se non esiste un protocollo terapeutico standard. A Roma ne hanno uno, a Bolzano un altro, a Milano un terzo, quindi è complicato, perché poi in realtà noi medici di base dobbiamo andare avanti con la nostra esperienza giornaliera”.
Quante persone sta curando, affette da coronavirus?
“In questo momento ne ho circa 20. Ho avuto un solo paziente ricoverato in ospedale ed ho un anziano in terapia che ha 94 anni, lo sto curando a casa e sta andando bene, inoltre 4 pazienti intorno ai 50 anni con un sintomatologia più forte, ma anche loro stanno reagendo positivamente”.
Ci sono stati diversi decessi di 50/ 60enni. A Poggio Mirteto ne sono morti 4, qualcuno aveva il diabete, in realtà sembra siano rimasti troppo a casa senza cure prima di arrivare in ospedale, in attesa del risultato del tampone.
“Il diabete è tra le patologie correlate che aumentano il fattore di rischio”.
Però senza covid, con questa patologia, oggi si vive fino a 90 anni, non crede?
“Certamente”.
Dunque sottolineare nei bollettini Asl che muoiono tutti per comorbilità non è esagerato?
“Il problema è che il covid altera completamente le difese, in chi è diabetico o cardiopatico si vede un peggioramento che condiziona molto lo stato generale ed è sufficiente anche una sola patologia per alterarlo. Per tale motivo è più che mai importante intervenire tempestivamente con i controlli domiciliari, è scandaloso che ad oggi, a distanza di mesi, le Usca non siano state attivate solo qui in provincia di Rieti. E’ arrivata solo ora la segnalazione di un bando aperto a coloro che diano la loro disponibilità, sarebbero decisamente utili perché le squadre si muovono con i DPI idonei per operare in sicurezza a domicilio. Questo problema si poteva anche risolvere all’origine se li avessero forniti anche a noi, perché saremmo andati noi a casa dei pazienti, anche se per quanto mi riguarda sono andato lo stesso. Non è casuale che si è arrivati ad avere 200 medici morti in Italia, in questo momento, anche in una piccola cittadina come Rieti, ci sono dei colleghi che si sono comunque positivizzati: è chiaro che il nostro è un mestiere a rischio, viviamo in mezzo ai malati dalla mattina alla sera, le possibilità reali di difenderci con simili patologie sono molto poche, sono quelle che ha letto, la mascherina, i guanti, tute, gel, visiere. Ripeto, se ci avessero fornito tali strumenti saremmo però andati a domicilio con molta più leggerezza”.
Anche secondo lei dunque, pur essendo una malattia grave ed insidiosa, se presa in tempo si può affrontare?
“Certo, poi guardi tutte le malattie possono essere drammatiche e si possono affrontare, è chiaro che in soggetti molto anziani e con patologie pregresse la difficoltà aumenta, ma tutto si può fare e si deve fare. Il tasso di letalità inoltre non è altissimo, anche se più alto dell’influenza, checché dicano in molti!”.
A Rieti sembra ci sia una esplosione sommersa, non comunicata, sembra che abbiano riconvertito nell’Ospedale molti reparti, ci sono ambulanze in fila, medici ed infermieri infettati, decessi.
“In questo momento la presenza di un unico ospedale sul territorio incide. So che stanno incrementando i posti per il covid anche se le terapie intensive sembra siano ancora sufficienti, è chiaro che tanto personale medico e paramedico si sta contagiando”.
Per quale ragione!
“Perché è facile contagiarsi. I reparti covid sono bene attrezzati, nei reparti non covid sono minori i dispositivi di protezione, quindi passando dal reparto covid al non covid ci si può infettare”.
Che tipo di terapie fanno in ospedale?
“Usano gli antivirali ma non ne sono a conoscenza, perché poi sono collegati direttamente con l’Ospedale Spallanzani”.
Dalla rianimazione in generale ne escono pochi, Spallanzani a parte, inoltre i report giornalieri a volte non sembrano essere così precisi.
“Le posso dire solo una cosa, il report è assolutamente inattendibile e non me ne chieda la ragione, non le so dire come lavorino all’interno del Servizio di Igiene, a me attualmente sul loro report sono abbinati solo tre positivi ed io invece, che ho rapporti con i miei pazienti, so che sono molti di più perché mi mandano copia del tampone positivo effettuato. I report non corrispondono alla realtà. Di recente c’è stato un grande problema, per circa una settimana non hanno processato i tamponi, o li hanno processati molto lentamente, così sono venuti fuori una serie di dati riferiti a tamponi processati 7 giorni prima. Bisogna vedere cosa hanno fatto in quei giorni le persone cui non avevano risposto. So che un pochino si sta velocizzando l’iter, perché è arrivato un secondo analizzatore”.
Conforta l’operatività di alcuni medici sul territorio che fanno comunque il loro lavoro, in molti si sono trincerati dietro l’affermazione che non potevano esercitare la loro professione per la mancanza di un protocollo…
“Che non ci sia un protocollo mi sembra eccessivo, il paziente va curato con i mezzi che abbiamo. Se il paziente va curato va curato”.
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