di Ettore Nuara
“LA DONNA SENZA TESTA” di MARIA GRAZIA DI MARIO continua il suo cammino, dopo il 3° premio ArgenPic la giornalista e scrittrice ha vinto il PREMIO LETTERARIO MONDIALE GOLDEN ASTER BOOK per la sezione NARRATIVA EDITA (ITALIA) 1° premio.
Ideato dallo scrittore e giornalista Alessio Follieri il “Premio letterario Mondiale Golden Aster Book” è un punto di riferimento per la letteratura a livello internazionale e vede la partecipazione di oltre 20 nazioni. La premiazione, organizzata dalla Aster Academy International, si è tenuta a Civitavecchia presso la Cittadella della Musica il 25 gennaio scorso, condotta da Massimiliano Porena e Marina Usai, il premio è stato consegnato a Maria Grazia Di Mario dal cantautore Pierdavide Carone.
Vincitori assoluti delle diverse sezioni in concorso, per la narrativa edita il libro “La donna senza testa” di Maria Grazia Di Mario (Giulio Perrone Editore-Italia), narrativa inedita “Perlas Ocultas” di Ofira Binnaz (Puerto Rico-Usa), poesia “Il mare è la nostra selva e la nostra speranza” di Davide Rocco Colacrai (Italia), saggistica Edita “Utopia possibile” di Piero Pierdiluca (Armando Editore-Italia), saggistica Inedita “Una mujer en la historia de Espana” di Conception Garcia Colorado (Spagna).
Protagonista del libro è Maria Salvati (nel significato di salvarsi), una giornalista che ad un certo punto si rende conto di dover cambiare i suoi valori (serietà, correttezza, impegno) sostituendoli con i nuovi valori/ disvalori del presente, se vuole inserirsi (ma anche semplicemente lavorare) in una società che non premia certo il merito. Le sue disavventure saranno numerose, surreali e divertenti; conquistato facilmente il suo successo “senza testa” diventerà una vera star in un mondo di automi (uomini e donne ). Un libro di grande attualità scelto dal Golden Aster Book proprio per la forte criticità espressa con uno stile asciutto, tagliente, ma insieme surreale e a tratti poetico.
Per il critico e letterato Marco Testi:“La sensazione di spaesamento, di ingresso in un mondo non più familiare è oggi non più una dimensione narrativa mutuabile da un Tozzi piuttosto che da un Moravia, se non vogliamo scomodare il Pirandello di Uno nessuno e centomila e dell’incompiuto I giganti della montagna, ma una realtà di fatto. Di Mario coglie in modo icastico, attraverso il procedimento della sineddoche, basato sul trasferimento del tutto in una parte, l’essenza di un mondo in crisi da tempo, per colpa soprattutto di una politica basata sulla gestione dei clientes e non sulla capacità e il valore in un momento in cui tutto questo sta finendo per l’accelerazione tecnica.
È un flash che coglie e immobilizza un momento di passaggio che ha molto del vecchio mondo e poco, per mancanza nostra di nuove certezze cui riferirci, del nuovo.
Una donna si sveglia, come in un incubo kafkiano, parte di sé, in questo caso una parte celebrata laicamente come lato b, rinunciando ad una testa pensante ingombrante, non necessaria, anzi, spesso ostacolo alla piena realizzazione sociale. Già qui il riferimento alla Metamorfosi è stravolto da un uso apparentemente meno nobile dell’animalizzazione infima di Kafka, ma da qui parte una serie di situazioni che raccontano per filo e per segno lo sguardo sulla donna oggi, e non solo la donna. Di Mario racconta l’inautenticità di un intero mondo in cui si entra solo per raccomandazione, senza che a nulla serva la testa, in questo caso diploma, laurea, dottorato di ricerca, merito, cultura, onestà, capacità, per non parlare della sensibilità. La parte del corpo tanto strombazzata dai media d’oggi è divenuto il soggetto del lavoro, dell’incontro, compreso quello apparentemente affettivo. Un merito essenziale di questo racconto è che esso non è un manifesto femminista, ma è qualcosa di più universale, perché dentro questo inferno dantesco ci sono le responsabilità di quanti, uomini e donne, hanno accettato passivamente e sfruttato mediaticamente l’uso del corpo, non più e non solo a livello estetico, ma come strumento di successo, appagamento, visibilità. Assistiamo allo spettacolo di attrici e attori che assicurano parti del loro corpo – gambe, ma anche toraci (Tom Jones), capelli, lati b, seni ed altro ancora – con cifre fuori dall’immaginario.
La presenza di un barbone – e quante volte l’emarginato, il pharmakòs della Grecia arcaica e delle società protostoriche, nella letteratura assume una funzione salvifica – che finalmente guarda negli occhi la protagonista diviene un elemento di crisi, perché sembra quasi una minaccia in un mondo in cui lo sguardo è altrove. Il capovolgimento dei meriti con la declassificazione di tutto ciò che si è fatto per trovare il lavoro desiderato è la classica goccia che fa traboccare il vaso. È una liberazione, quella crisi finale, che lascia aperta la porta della speranza, perché nel pieno della notte, ce lo hanno insegnato anche le Scritture, si intuisce la prossimità delle prime luci.
Uscì a mani vuote (senza il suo curriculum) e si diresse verso la metro, nel primo cassonetto gettò quelle maledette scarpe rosse con i tacchi a spillo che non indossava quasi mai, e corse via, leggera, a piedi nudi. Nessuno, neppure se stessa, avrebbe potuto rinchiudere, derubare, annientare la sua testa. Lei non si sarebbe mai fermata. Nel cielo una magnifica luna d’argento””.
“Sono davvero sorpresa per il successo di questo romanzo – dichiara l’autrice – ed onorata di aver vinto un premio cui avevo partecipato per gioco, sapendo che molti premi letterari in Italia sono dei bluff, già si conoscono i vincitori. E invece qui a Civitavecchia sono stati nominati in tempo reale, avvisati per la giornata di premiazione solo i finalisti (6 a sezione), autori le cui opere hanno uno sguardo rivolto al sociale, pur con vari stili e storie differenti. Il mio è un libro non solo al femminile, ma riguarda tutti coloro, uomini e donne, che sono costretti a camminare in questo presente senza testa”.